HOMO HOMINI LUPUS


TITOLO
Homo Homini Lupus (corto)

REGIA
Matteo Rovere

CAST
Filippo Timi, Valentina Chico, Marco Bizzoni, Alessandro Riceci, Michele Melega, Fabrizio Romagnoli, Antonio Pauletta, Enrico Petronio

ANNO
2006

TRAMA
Novembre 1944, campagna laziale. Le ultime ore di vita di un partigiano. Il tentativo di ricordare cosa significa, e quanto è difficile, essere liberi.

MATTEO ROVERE: “L’idea di questo cortometraggio nasce dall’incontro casuale con una lettera scritta da un partigiano che si chiamava Paolo Braccini morto nella primavera del 1944. La sera prima di essere giustiziato, scrive una lettera alla figlia, figlia che lui non conoscerà mai perché, nel momento in cui viene ucciso, la mogli è incinta. E lui si rivolge a questa bambina come se la morte non fosse un limite ma semplicemente un passaggio attraverso il senso della vita. Il senso delle cose. Le parole di un uomo che riesce in qualche modo a farci sentire fortissimo questo dolore, ma anche questo amore per la vita, sono piene di significato e sono il motore che ci ha portato a voler fare questo piccolo film.

Il cortometraggio lo abbiamo girato in tre giorni di cui uno in esterni e un paio in interni. La prima scena è ambientata nei Monti Cimini vicino al paese di Carebina nel viterbese, dove si trova un bosco estremamente suggestivo. Il film parte senza titoli di testa, senza riferimenti cronologici precisi e con la volontà di calare chi vede in una vicenda che si sta sviluppando in quel momento, qualcosa che sta succedendo e le cui dinamiche, le cui componenti narrative vengono scoperte piano piano. Tutto il background culturale che lo spettatore ha viene piano piano alla luce quando vede le truppe tedesche, la fuga, e che è in qualche modo uno scoprire dello spettatore nel momento in cui è il partigiano a scoprire cosa sta succedendo. Le inquadrature strette, l’assenza di elementi cronologici, la scelta per esempio dell’otturatore variabile all’interno delle scene di tortura segue l’andamento emotivo dell’interiorità di questo partigiano. Anche la scelta di non sottolineare i dialoghi in tedesco è stata fatta pensando proprio al partigiano in quella situazione, dato che lui chiaramente non sapeva e non capiva cosa gli succedeva intorno,cosa si dicevano queste persone, qual era il suo destino.

Quando Angelo Pietrostefani (interpretato da Filippo) è costretto ad aspettare legato sulla sedia, queste inquadrature lunghe sono finalizzate a far sentire in qualche modo anche allo spettatore questa attesa che, dichiarandosi, non ha una fine perché, chi subisce l’attesa, non sa il momento in cui questa attesa finirà. Le scene delle torture sono ambientate in una casale che effettivamente, durante l’invasione tedesca, fu preso dall’esercito tedesco. Venne qui realizzata una base, una delle tantissime che c’erano nei piccoli paesi per controllare la zona. E’, effettivamente, un luogo dove sono state torturate delle persone e anche uccise. E questa è un’energia, un qualche cosa che, secondo me, si sentiva tra le pareti, si sentiva dall’ambiente. E penso che la location ci ha aiutato tantissimo a raccontare questo tipo di realtà.

FILIPPO TIMI: C’è una sottolineatura solo giustamente accennato della controparte, dei nazisti, quasi quasi un certo punto, di fronte ad un massacro tangibile e quindi si può avere una radice ideologica però, eccolo…… è qui, è un uomo davanti ad un altro uomo. Anche i tedeschi si domandano: “ma che cosa è, come è possibile reggere?”….. E poi invece è possibile…. Ahimé!

MATTEO ROVERE su FILIPPO: Penso che Filippo Timi sia una persona di una energia veramente incredibile, al di fuori del comune, sia professionalmente che umanamente. Diciamo che la forza che lui si porta dietro come uomo, come individuo, se sente tantissimo anche nell’atto della recitazione che comunque è in qualche modo una trasformazione. E’ una trasformazione nella quale lui però riesce a portare tantissimo di se stesso, tantissimo di quel materiale umano ed emozionale che ha dentro, che è drammatico, forte, pieno, denso, vero, vivo. E’ qualcosa che rimane. Lui è una persona di grandissima energia, anche fisica, e quindi l’idea di legarlo, di tenerlo tutto il tempo bloccato, sofferente anche per lungo tempo, è un qualcosa che ci ha aiutato a raccontare con drammatica verità quella che è stata la sofferenza di Angelo Pietrostefani.

FILIPPO TIMI: Secondo me è un piccolo film perché rivive un avvenimento storico drammaticamente importante, però lo fa rivivere all’interno di una storia piccola, all’interno quasi di un corpo.

MATTEO ROVERE: Di fronte ad una morte inevitabile lui scappa in questo luogo che noi abbiamo rappresentato con l’uscita dal bosco. Questo luogo è un luogo della mente, una sorta di paradiso dove noi, pur sapendo che questo uomo è morto, in qualche modo continuiamo a tenerlo in vita.